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Nicola Grassi (1682-1748)

Treviso, 2019; hardback, pp. 532, b/w and col. ill., b/w and col. plates, cm 24x30.

cover price: € 90.00

Nicola Grassi (1682-1748)

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Nicola Grassi (1682-1748)

Treviso, 2019; hardback, pp. 532, b/w and col. ill., b/w and col. plates, cm 24x30.

FREE (cover price: € 90.00)

Nicola Grassi (1682-1748)

Carlo Dolci. Complete Catalogue of the Paintings

English Text.
Firenze, 2015; paperback, pp. 392, 100 b/w ill., 186 col. ill., cm 24,5x28,5.

FREE (cover price: € 150.00)

Carlo Dolci. Complete Catalogue of the Paintings

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Renzo Piano. La fabbrica della musica. L'auditorium Paganini nella città di Parma

Abitare Segesta

Milano, 2002; paperback, pp. 96, col. ill., cm 26,5x28.
(Abitare Segesta Cataloghi).

series: Abitare Segesta Cataloghi

ISBN: 88-86116-46-2 - EAN13: 9788886116466

Subject: Architects and their Practices,Civil Architecture/Art,Masterpiece,Music,Theatre

Period: 1960- Contemporary Period

Places: Emilia Romagna

Extra: Industrial Archeology

Languages:  italian text  

Weight: 0.64 kg


I gesti della mano sono quelli dell'istinto, i più liberi ed i più rapidi. Come in un gioco paziente ed ostinato. C'è un momento in cui tutto viene assieme: le cose che già esistono, il loro ricordo e la ricerca del nuovo
Renzo Piano

Il "programma di riqualificazione urbana" dell'area Eridania-Barilla coinvolge uno dei più significativi comparti industriali sorti a Parma nei primi anni del '900. In seguito all'abbattimento delle mura si insediarono, in diretta continuità con il nucleo antico, nuovi ed importanti opifici industriali, oltre ai primi grandi servizi tecnologici. Negli ultimi 50 anni, la città ha inglobato questa prima periferia che, a seguito della progressiva dismissione, costituiva un frammento sempre meno integrato al circostante. Le ipotesi di riqualificazione inducevano ad una seria riflessione sul come affrontare un'area che, negli edifici, ma soprattutto nei nomi che questi evocavano, riassumeva, in buona sostanza, una parte importante della propria storia industriale. I grandi volumi, mute testimonianze di una passata prosperità, si presentavano prossimi alla fatiscenza e destinati, secondo l'opinione comune, al definitivo abbattimento. Ma, ad una più attenta osservazione, questi ruderi costituivano un'occasione per riscrivere, nel grande libro della sua storia urbana, una nuova pagina d'autore. Nella città che fu di Verdi, ma anche di Niccolò Paganini - che qui ancora riposa - da questo lacerto di urbanità in disuso prende avvio una riqualificazione nel segno della conservazione della memoria.
Utilizzando approcci più complessi rispetto ad una mera distruzione dell'esistente o, peggio, ad una sua acritica riproposizione, si è cercato di intervenire con strategie di metamorfosi funzionale, capaci di legare la tradizione al nuovo, unendo in felice connubio la conservazione allo sviluppo. Per far rivivere questo brano di città, ormai privato delle ragioni sociali per cui nacque e si sviluppò, occorrevano idee forti, in grado di ancorare nuovamente le preesistenze ai luoghi. L'episodio più significativo per garbo, rappresentatività e chiarezza, è legato alla riconversione del vecchio zuccherificio in Auditorium. L'edificio, fortemente degradato nell'aspetto e nella sostanza, ritrova - grazie al progetto - una diversa ragion d'essere, imponendosi come uno dei simboli del restyling cittadino.
In quest'opera Renzo Piano riesce a creare una tensione fra l'immagine del ricordo e la permeabilità di uno spazio che non accetta di racchiudersi in sé stesso. Dalla convivenza tra la rappresentatività evocativa del simbolo - l'alta ciminiera in mattoni - e la delicata trasparenza delle quinte di testata, dove lo sguardo spazia senza soluzione di continuità, la composizione trova il suo equilibrio nel sapiente contrasto dei materiali impiegati. La massiccia concretezza dei muri longitudinali si contrappone all'impiego del vetro, facendo corrispondere figurativamente il ricordo dell'architettura industriale all'immaterialità di uno spazio dedicato al suono.
Da molti anni Renzo Piano interpreta lo spazio architettonico come strumento del linguaggio musicale. A partire dalla collaborazione con Luigi Nono, per il quale progetta nel lontano 1983 la famosa "arca" del Prometeo, l'architetto genovese ha affrontato più volte il tema, ideando - come in quel caso - anche strutture specifiche all'interno di contenitori già esistenti. L'architettura come musica pietrificata (l'espressione è di Goethe), è la poetica definizione di una verità filosofica; ciò che nella musica era espresso per mezzo di armoniosi intervalli di tempo poteva tradursi in corrispondenze di vuoti e di pieni nello spazio. Qui notiamo un qualcosa in più; un qualcosa che si misura, e che ne interpreta delicatamente l'effetto, con la stessa levità del suono. Il presupposto dell'immaterialità definisce la nuova coincidenza tra musica ed architettura; discipline che da sempre, per realizzarsi, ricorrono alla certezza dell'ordine, del numero, della matematica. Dall'alternanza degli opposti nasce la creatività:"una tensione costante tra prevedibile ed imprevedibile", tra norma ed arbitrio, tra regola ed eccezione. La relazione con l'edificio preesistente è comunque legata alla posizione, al mantenimento dell'ordine tripartito delle bucature, all'alternanza dei pieni e dei vuoti. Il progetto accetta le forme del passato, adeguando però la dimensione della sala al rispetto di quelle regole proporzionali atte a soddisfare i requisiti di una migliore acustica.

Progetto e realizzazione
L'intero complesso si compone di due edifici. In quello principale, partendo dall'ingresso posto a sud, si trova uno spazio aperto ma coperto, che conserva i vuoti dei finestroni originali. Si tratta di una piccola piazza riparata, da cui, superando una prima grande parete vetrata, si accede al foyer, a sua volta diviso in due livelli da una ampia scalinata centrale. L'entrata della sala è posta al livello superiore, al di là di una seconda quinta vetrata la cui posizione è stata scelta in funzione delle dimensioni ottimali richieste dallo spazio per l'ascolto. La platea di 780 posti, che già si percepisce dall'esterno ancor prima di viverla, è studiata in leggera pendenza, così da consentire ad ogni spettatore la massima visibilità. In fondo, delimitato da una terza ed ultima vetrata del tutto simile alla precedente, è posto il palco, capace di accogliere coro ed orchestra; più in là: la natura ed il verde.
Il secondo edificio accorpa tutti gli ulteriori spazi necessari al normale funzionamento della complessa macchina dell'auditorium: gli spazi accessori, i locali tecnici, gli uffici amministrativi, il ristoro, i camerini per gli artisti, una sala prove confrontabile, per dimensione e resa acustica, al palco di sala; di dimensioni pressochè ugualiall'altra parte del complesso, questa sezione presenta pareti interamente rivestite di materiali fonoassorbenti in acciaio microforato e lana minerale.
L'utilizzo di ampie e luminose vetrate, concepite nel segno della leggerezza, costituisce un motivo ricorrente nei lavori di Renzo Piano. Rispettando, pertanto, l'involucro esterno, come abbiamo già anticipato, egli prevede lo svuotamento integrale e l'eliminazione dei muri di testata, sostituiti dalla trasparenza di ampie pareti diafane, per giunta arretrate rispetto al filo del perimetro esterno. L'ingresso principale, come un grande nartece coperto, costituisce il filtro di mediazione fra "dentro" e "fuori". L'effetto moltiplicatore indotto crea una percezione insolita per luoghi tradizionalmente concepiti come involucri chiusi. L'interno, svuotato delle partizioni orizzontali e dilatato dall'assenza dei limiti murari di testata, diventa un cannocchiale capace di attivare, come per aspirazione energetica, una forte captazione dello spazio circostante. La dilatazione visiva, arricchendosi di nuove sensazioni, trova sfondo nella scenografia naturale del parco. Nell'incanto notturno del bosco recuperato, dove la luce gioca ad illuminare le diverse essenze, l'immagine ricompone antiche suggestioni e l'emozione vola sulle ali del tempo. Sospesi in una atmosfera di sogno il pensiero ritorna al mondo classico dove, complice la musica, si mescolavano nella natura il mondo degli uomini con quello assai più capriccioso degli dei.
Lo sguardo corre dunque senza ostacoli lungo i quasi novanta metri del fabbricato. In alto, sospese alle capriate metalliche di sostegno alla copertura (segno ulteriore che rievoca l'antica destinazione) lo spettatore vede le lignee nuvole delle scocche acustiche, studiate per rompere la riflessione diretta delle onde sonore. Grazie alla preziosa (e già collaudata) collaborazione di Helmut Muller, è stato possibile raggiungere un elevatissimo controllo sulla qualità della ricezione sonora in ogni punto della sala. Elementi architettonici e strutturali, quali la semplice strombatura delle aperture, la copertura a capriate metalliche, o la stessa conformazione del grande lucernario di spina concorrono - unitamente alla predisposizione di particolari deflettori e pannelli - alla complessità delle riflessioni acustiche. Mediante un emettitore posizionato sul palco è stato possibile verificare il controllo qualitativo della trasmissione del suono nelle differenti posizioni della platea, potendo così correggere localmente eventuali mancanze. Le poltrone, studiate in modo da perseguire un idoneo rapporto tra assorbimento e riflessione, si integrano agli accorgimenti introdotti sia sulle pareti laterali, sia soprattutto sulla zona del palco, funzionante come vera cassa armonica. Alla progettazione condotta scientificamente, seguendo cioè le regole della corretta acustica tecnica, si è - per così dire - "accordato" lo spazio come se si trattasse di uno strumento musicale. Ma ritorniamo per un attimo al palcoscenico, le cui dimensioni sono di 17 metri di larghezza per circa 14 di lunghezza. Qui si concentrano sia i bassi pannelli listellari di legno, con la funzione di schermare l'orchestra proteggendola dall'esterno, che i deflettori trasparenti, ancorati alla struttura metallica delle passerelle di irrigidimento. Questi ultimi, regolabili attorno ad un asse orizzontale, consentono la riflessione del suono in alto ed in basso. Essendo stati progettati necessariamente trasparenti, per non inficiare l'effetto di leggerezza delle quinte trasversali, hanno - come effetto indotto - il potere di rispecchiare in immagini sospese la magia della rappresentazione.
Nelle facciate continue, i vetri della Saint Gobain, inquadrati dentro un'esile intelaiatura di montanti metallici rivestiti in alluminio ma con anima in acciaio (le dimensioni sono di cm.15x5 ed il sistema è Schuco FW50), sono tutti del tipo extrachiaro e tali da garantire la massima trasparenza all'effetto ottico. Per irrigidire la parete sono state progettate delle passerelle trasparenti, necessarie alla pulitura ed alla manutenzione delle vetrate, ma la cui struttura funge sia da controventamento, sia da trave di sostegno contro i pericoli derivanti da carico di punta. All'esterno della parete attrezzata, si ancorano particolari tende a rullo il cui oscuramento, studiato in funzione anche di un utilizzo diurno della sala, non è mai totale. Le tipologie dei vetri impiegati sono differenti a seconda che si tratti delle finestrature laterali o delle facciate continue. In queste ultime è stato adottato un vetrocamera extrachiaro a doppia lastra stratificata con gas e ad elevato abbattimento acustico (il tipo Visarm Stadip Silence Diamant). Per la vetrata di ingresso, dovendo mediare il foyer con l'esterno, nella stratificazione impiegata non è stato utilizzato l'idoneo intercalare plastico, necessario a garantire quelle caratteristiche di isolamento acustico, indispensabili per la sala d'ascolto.
Il condizionamento della sala è assicurato da "torrini" posti sotto le poltrone che, emettendo aria a bassissima pressione, ne climatizzano l'ambiente. Nella fase costruttiva si è avuta l'accortezza di predisporre tubi in ferro, nella misura di uno ogni poltrona, mantenuti alla stessa quota ed alla stessa distanza durante il getto mediante una "dima" in ferro. L'espediente ha permesso, nella successiva fase di approntamento delle sedute, di incastrare perfettamente i canotti al sistema di aerazione. Infatti l'aria, convogliata sotto il pavimento della sala, esce dai famosi "torrini" per essere poi ripresa attraverso griglie posizionate sulle pareti. Nella zona del palco, essa è anche aiutata da augelli orientabili, comandati elettronicamente.
Alcuni cenni sui materiali impiegati, sulla scelta delle finiture e soprattutto sulla loro esecuzione, possono aiutare a comprendere la notevole qualità dell'opera. Sia l'orditura primaria del tetto, formata da travi in rovere fissate alla sottostante struttura in ferro, sia quella secondaria, in abete massello, completata da un tavolato in pannelli multistrato dello spessore di 25 mm, contribuiscono a rendere più accogliente e caldo l'ambiente. La copertura in rame nasce già con un aspetto "vissuto", grazie ad un pre-trattamento con idrossidi, clorati e silicati di sodio, la cui unica funzione è di accelerare quei processi un tempo naturali ma oggigiorno difficili da ottenere a causa del mutare delle condizioni atmosferiche. Infine gli interni, curatissimi nel dettaglio, le pavimentazioni, le murature trattate con intonaco colorato in pasta, e sino alle finiture esterne: tutto rivela la sinergia tra progetto e direzione per la buona riuscita dell'opera.
Dal degrado di ieri all'utilizzo di oggi, il racconto dell'Auditorium "Paganini" ha un lieto fine. Accanto ad esso, e valorizzate dalla sua esemplarità, stanno nascendo nuove residenze. Le imponenti gru di oggi saranno presto sostituite da un nuovo soffio di vita. La città cambia, rimanendo sempre sé stessa.

Il cantiere
Il recupero è consistito nella demolizione di alcune parti ormai irrimediabilmente ammalorate, e nella conservazione, previo consolidamento, di quanto era ancora possibile far rivivere. Una volta demoliti gli impalcati interni, il problema più urgente per la direzione lavori consisteva nella messa in sicurezza dell'intero complesso. La conservazione parziale dei muri longitudinali necessitava di interventi preventivi, riguardanti sia il rinforzo delle fondazioni (inadatte a sopportare i nuovi carichi di progetto) sia l'allestimento di speciali elementi di supporto, capaci di contrastare efficacemente le sollecitazioni derivate dalle successive operazioni di demolizione e ripristino. Al fine di garantire la massima stabilità delle parti da conservare sia durante la fase di demolizione delle strutture più fatiscenti, quali ad esempio quelle di copertura, che durante la successiva operazione di parziale demolizione di alcune porzioni murarie (indispensabili per affiancare ad esse i necessari elementi di rinforzo), si è ricorsi ad un interessante sistema di sostegno. Ogni puntello consisteva in una doppia coppia di travi reticolari in legno, esterne ed interne, posizionate ad un interasse di circa un metro e mezzo, e collegate fra loro mediante barre dywidag ogni 2 metri. Quelle esterne poggiavano, a loro volta, su una struttura metallica ancorata al magrone della nuova fondazione, mentre quelle interne erano collegate direttamente alla muratura, sempre mediante barre dywidag. Tutto il sistema era aiutato da una serie di tre puntelli, posizionati all'esterno ad altezze differenti, ed ancorati, a loro volta, ad una serie di fondazioni di sacrificio. Ammettendo la possibilità di lavorare, sia a trazione sia a compressone, l'inserimento dentro al puntello di barre dywidag ne ha consentito la precompressione. Nell'opera di incamiciatura dei setti murari, potendo intervenire contemporaneamente su più porzioni del fabbricato, si è sviluppato un sistema lavorativo "a pettine", che ha notevolmente favorito la rapidità dell'esecuzione.

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design e realizzazione: Vincent Wolterbeek / analisi e programmazione: Rocco Barisci