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Nicola Grassi (1682-1748)

Treviso, 2019; cartonato, pp. 532, ill. b/n e col., tavv. b/n e col., cm 24x30.

prezzo di copertina: € 90.00

Nicola Grassi (1682-1748)

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Nicola Grassi (1682-1748)

Treviso, 2019; cartonato, pp. 532, ill. b/n e col., tavv. b/n e col., cm 24x30.

OMAGGIO (prezzo di copertina: € 90.00)

Nicola Grassi (1682-1748)

Carlo Dolci. Complete Catalogue of the Paintings

Testo Inglese.
Firenze, 2015; br., pp. 392, 100 ill. b/n, 186 ill. col., cm 24,5x28,5.

OMAGGIO (prezzo di copertina: € 150.00)

Carlo Dolci. Complete Catalogue of the Paintings

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Simbolo e violenza. Vol. 2: Del fallimento

Asterios

Trieste, 2019; br., pp. 250.
(Piccola Bibliothiki. 63).

collana: Piccola Bibliothiki

ISBN: 88-9313-134-X - EAN13: 9788893131346

Periodo: 1800-1960 (XIX-XX) Moderno,1960- Contemporaneo

Testo in: testo in  italiano  

Peso: 1.2 kg


Il fallimento costituisce il grande rimosso della cultura occidentale. Questa rimozione nella storia ha assunto varie forme: dal peccato originale del cristianesimo o dalla "macchia"("stigma") legata religiosamente alla classe sociale di appartenenza e al censo, per arrivare in tempi più recenti alle antropologie filosofiche, agli esistenzialismi, ai vari debolismi post-moderni, sia etici che teorici, finendo con la riflessione post-comunista ispirata alla sconfitta sistematica e strategica di un'idea o un'utopia. In qualche modo pare non si siano fatti i conti con un fallere molto più pervasivo di quello che si creda, cioè con un deficit o mancanza costitutive che non possono essere trasfigurate semplicisticamente in agente positivo della civilizzazione e della storia. In altri termini l'uomo sarebbe quell'animale che, già da sempre decaduto e deficitario, compenserebbe la propria condizione fallimentare con un'ipertrofia ad un tempo tecnica e simbolica. E il fallimento non rappresenterebbe che il propulsore fondamentale di vittorie e successi, rimanendo quindi inviluppato negli intrighi di un dispositivo etico e culturale secondo il quale ci possono essere effettivamente dei vinti e perdenti, ed esiste qualcosa che possiamo definire "vittoria". Il contesto agonistico della contemporaneità sembra confermare questo sospetto a partire dalla ridondanza lessicale di termini come competizione, performance, risultato, classifica, graduatoria, meritocrazia, successo, etc.. Ma che cosa significa davvero vincere? E andando oltre al significato della parola "vittoria", il significato in sé, in quanto costruzione di un senso, implica davvero anch'esso, quasi circolarmente, una vittoria, originaria o teleologica che essa sia? Oppure il fallere è proprio un "modo", qualcosa di molto più realistico e immanente alla nostra esistenza, al di là delle suggestioni heideggeriane e post-heideggeriane? La posta in gioco è molto alta: l'attuale condizione dell'umanità, sia per la crisi eco-climatologica che stiamo vivendo, sia per l'eccesso demografico (e potremmo dire per un eccedere che pare costituire l'altro risvolto di ogni ideologia della vittoria, nonché una vera e propria matrice genetica dell'homo sapiens) ci pongono innanzi a quello che solo in apparenza si configura come un paradosso, cioè all'eventualità di giocare un gioco che non si può affatto vincere ma soltanto perdere.

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